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SPECIALE SU ISCHIA


Coloro che bevvero nella coppa di Nestore

di Fausto Zevi

Un preziosissimo reperto archeologico svela, nel riferimento al mondo omerico, la natura colta della società pitecusana. E la qualità civile del più antico insediamento greco d'Occidente.

Rigorosa e scientifica, l'impresa di scavo d'<%=ischia%>, l'antica Pithekoussai, è legata, come nell'archeologia romantica ottocentesca, all'impresa solitaria e alla volontà tenace di uno scavatore. Non si può scindere, infatti, la scoperta del più antico insediamento greco d'Occidente dal nome di Giorgio Buchner, figlio di uno scienziato tedesco ritiratosi a <%=ischia%> negli anni del nazismo: una matrice che spiega nell'archeologo il vivo senso dell'ambiente, l'osservazione dei fenomeni del vulcanesimo ischitano nella sua interazione con l'insediamento dell'uomo.
A <%=ischia%> finora non sono venute in luce sepolture "principesche", come se ne sono trovate in Etruria e nel Lazio, e, per restare nel più vicino ambito greco, a Cuma; la necropoli appartiene ad un ceto sociale medio, anche se differenze di ricchezza sussistono tra i singoli appezzamenti familiari, con maggiore o minore presenza di ceramica, ma soprattutto per la qualità degli ornamenti personali (fibule, fermatrecce, anelli talvolta con gemme o scarabei, ecc.) in bronzo ovvero in argento (assai rara la lamina d'oro). Tutte le tecniche, la laminazione, la filigrana, la granulazione, lo sbalzo, sono rappresentate a <%=ischia%>, segno di quella padronanza delle technai che i Greci, nelle loro già plurisecolari navigazioni mediterranee e dai loro scali in Levante, avevano conosciuto e mutuato dalle grandi civiltà d'Oriente.
In questa società pitecusana resta imprescindibile il riferimento culturale al mondo aristocratico degli eroi di Omero. Formaggio e vino di Pramno: non è la ricetta di un raffinato gourmet, ma la pozione rigeneratrice con cui il re di Pilo, Nestore, bevendo dalla sua pesante coppa d'oro, ritemprava le forze nelle pause della battaglia. Ben consapevole di questa coppa famosa era l'ignoto rimatore ischitano che, verso il 730 a.C., incise questi versi su una coppetta di ceramica, deposta poi tra i vasi di corredo di una tomba: "Buona per bere, certo, era la coppa di Nestore; ma colui che berrà da questa coppa, subito quegli sarà colto dal desiderio di Afrodite dalla bella corona".
Preziosissima la prima, di umile terracotta l'altra; l'una adatta alle fatiche della battaglia, ma l'altra colma di promesse d'amore. Solo un piccolo epigramma simposiale: per noi una autentica miniera di informazioni. In primo luogo la conoscenza del poema omerico, per risultare comprensibile, si deve presupporre sia nell'autore che negli ascoltatori: solo chi conosceva i versi dell'Iliade poteva comprendere l'allusione a Nestore e alla sua coppa, e ciò significa testi scritti e alfabetizzazione, e comunque riconoscersi in una cultura comune, riferita paradigmaticamente a quella società di re e di eroi.

Poi la conoscenza del metro poetico, da parte del poeta, e della scrittura, da parte di chi ha inciso quei versi sulla coppa; infine, il costume sociale del simposio, che presuppone, come è chiaro, l'uso "regolamentato", starei per dire ritualizzato del vino come pratica collettiva: il ciclope Polifemo che Ulisse riuscirà a ubriacare e ad accecare, bestiale creatura che infrange le sacre leggi dell'ospitalità, sarà a sua volta vittima della sua inciviltà, proprio per ignoranza dell'uso corretto del vino. In tal modo, davanti ai nostri occhi prende forma il mondo della società greca arcaica e della sua lezione civile. Ma un altro dato ci appare interessante. La tomba a incinerazione da cui proviene la nostra coppa è ricca di vasi dipinti, tra cui un magnifico servizio simposiale con una serie di crateri dipinti tra i più belli della produzione pitecusana. La fibula argentea è maschile; ma l'analisi antropologica delle ossa ha mostrato che il defunto era un fanciullo di non più di dodici anni. Come spiegare allora i riferimenti al simposio e all'eros, certo a lui non confacenti? E la fibula di adulto, i crateri da vino, l'uso stesso della incinerazione?
Dobbiamo dedurre che, pur se ancora non era giunto a servirsene, la condizione sociale assicurava al giovane defunto quelle prerogative che vediamo rispecchiate nella tomba. L'uso simposiale del vino, e con esso i richiami omerici, il costume della recitazione poetica e certamente del canto, la conoscenza del linguaggio e del metro poetico, la stessa padronanza della scrittura, sono dunque possesso distintivo dell'aristocrazia, che negli eroi omerici si riconosce.

Ma prende forma specifica anche il mondo pitecusano, legato al commercio da terre remote, quel mondo dei coloni giunti ad <%=ischia%> da un'altra isola mediterranea, l'Eubea che si stende parallela alle coste dell'Attica e della Beozia, e i cui audaci naviganti e colonizzatori saranno i primi a costituire fondaci in Oriente (Al Mina, alle foci dell'Oronte, sulla costa della antica Siria) e colonie in Occidente, a cominciare dalle antichissime città di Sicilia, Messina (allora detta Zancle), Nasso, Catania e Lentini, e a quelle, altrettanto splendide, del Tirreno, da <%=ischia%> a Cuma alla loro figlia, Napoli. E la "coppa di Nestore" è un prodotto non locale, ma che proviene da Rodi: così come da Rodi e dalle prospicienti coste dell'Asia Minore provengono molti degli oggetti più raffinatamente esotici presenti nelle tombe pitecusane.
Gli ultimi scavi hanno allargato ulteriormente l'orizzonte: dopo la necropoli si è cominciato a scavare le case dei vivi, dapprima, presso la necropoli, un quartiere artigiano di orafi e metallurghi, e, più a valle, un'area che, per secoli, resterà quella dei forni da vasai, vero "quartiere del Ceramico" come quello di Atene fuori dell'area propriamente urbana per allontanare il pericolo di incendi. Ma la peculiarità dell'insediamento pitecusano sta proprio nella sua configurazione non accorpata, anzi dispersa: all'estremità opposta dell'isola, a Punta Chiarito, la recente scoperta di un piccolo abitato si aggiunge ad altre tracce altrove dimostrando come la fascia pedemontana a ridosso della costa fosse tutta abitata con insediamenti agricoli.

La stratigrafia del seppellimento è costituita da una colata di fango, che ha sigillato una casa a pianta ovale degli inizi del VI sec. a.C., di pietre a secco e coperta da un tetto a doppio spiovente di tegole e coppi sostenuto da pali; mentre un'eruzione precedente aveva distrutto una casa piu antica, databile alla seconda metà dell'VIII sec. a.C. forse analoga per pianta ma con tetto di strame. Sul pavimento restava in frammenti tutto il corredo domestico, con una cospicua quantità di vasellame di ceramica fine, mentre una zona di fronte all'ingresso fungeva da dispensa, con grandi anforoni locali e pithoi, alti anche più di un metro, anfore vinarie, locali e importate, corinzie, chiote ed etrusche, incastrate nel pavimento e talvolta addirittura coi tappi, in tufo ed argilla; mensole alle pareti sorreggevano vasi fini e da cucina; due grattugie in bronzo servivano forse per grattare il formaggio nel vino, la rinfrancante mistura di Nestore. L'interpretazione dell'insieme è dubbia; colpisce comunque la straordinaria varietà delle provenienze degli oggetti ceramici in questo set composito e internazionale in contrasto apparente con la rusticità dell'ambiente: un deposito di oggetti e derrate da commercio, ma che serviva anche, al tempo stesso, da abitazione per servi o artigiani di condizione inferiore, visti gli ami da pesca e i resti di lavorazione di oggetti di osso e di corno trovati sul pavimento? Quesiti aperti, come si vede: una finestra che si va aprendo via via sulla più antica esperienza coloniale greca in Occidente, in quella che, immaginificamente, è stata definita da uno studioso anglosassone come l'alba della civiltà europea.

Fausto Zevi, sovrintendente archeologo di Napoli


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